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La calcite ottica e le sue strane proprietà

Gli articoli dei nostri lettoriL’ultima volta avevo descritto alcuni minerali della mia collezione e vi avevo detto che presto avrei avuto nuove pietre di cui parlarvi.
Eccomi qua allora, con uno dei miei nuovi pezzi: la calcite ottica.
Iniziamo parlando della calcite in generale, che è uno dei minerali più comuni in natura. Si trova in tante rocce, soprattutto in quelle sedimentarie, e si presenta sotto forme molto diverse. Di solito i suoi cristalli sono romboedrici, cioè con la forma che si vede in questa figura:
Rhombohedral…ma possono assumere anche altre forme.
Anche i colori sono molto vari: può essere INCOLORE, come la mia pietra, ma anche bianca, rosa, gialla, bruna e verde e, quando viene colpita da RAGGI ULTRAVIOLETTI, può diventare fosforescente.

La calcite ottica (o spato d’Islanda) è una varietà di calcite particolarmente trasparente che permette di osservare bene uno strano fenomeno: lo “sdoppiamento delle immagini”! Guardate la foto: ecco che cosa si vede usando il mio cristallo!

la calcite ottica e la birifrangenza
Questo effetto si chiama BIRIFRANGENZA e si verifica quando la luce colpisce il cristallo. È come se ogni raggio di luce venisse spezzato in due, così l’immagine che si vede attraverso il cristallo viene raddoppiata e sembra di vederci doppio!


Foto e articolo di Chiara Locatelli


L’evoluzione per selezione naturale

La teoria elaborata da Charles Darwin si chiama teoria dell’evoluzione per selezione naturale.

La selezione naturale è il “motore” che fa cambiare gli organismi nel tempo. Senza che ce ne accorgiamo, la natura (l’ambiente dove gli organismi vivono, gli altri esseri viventi) ogni giorno “premia” gli individui che hanno le caratteristiche più favorevoli. Quelli più forti, più capaci di procurarsi il cibo, di riprodursi. Ecco… la cosa importante per un organismo vivente è proprio riprodursi, trasmettere cioè le sue caratteristiche alle generazioni successive. Se questo non accade, un animale, una pianta, un microbo, si estinguono, finiscono il loro percorso sulla Terra. Se invece riescono ad avere una discendenza (insomma, ad avere dei “bambini”), allora quella specie prosegue il suo cammino ma sempre attraverso piccoli o grandi cambiamenti, che si accumulano nel corso di milioni di anni.

È così che sono cambiati gli organismi e sono arrivati ad essere come li conosciamo oggi. Come sicuramente sapete, perché lo avrete letto o studiato a scuola, anche la nostra specie non è sempre stata come oggi, ma è andata incontro a un’evoluzione molto complessa, con tante forme diverse che si sono susseguite e intersecate, come i rami di un albero.
Ma a questo proposito, non commettete l’errore di pensare che noi “discendiamo dalle scimmie”. Noi infatti… siamo scimmie! La verità è che con le scimmie attuali abbiamo in comune un antenato, molto lontano nel tempo, vissuto addirittura tra i 4 e i 6 milioni di anni fa. Quello che potete dire è che scimpanzé e gorilla sono nostri parenti molto stretti.

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Darwin intuì che l’evoluzione era avvenuta e continuava ad avvenire nel mondo durante un viaggio naturalistico intorno al mondo, a bordo di una nave chiamata Beagle. Tra le tappe più famose di questo viaggio ci sono le isole Galapagos, al largo dell’Ecuador. Qui Darwin osservò tanti animali: iguane, tartarughe, fringuelli. Le osservazioni sulle loro forme, somiglianze, differenze e abitudini lo aiutarono a formulare la sua teoria.

tartar darwin

Tornato a casa, riunì le sue osservazioni in un libro – L’origine delle specie– pubblicato nel 1859 e oggi considerato un “pilastro” fondamentale per chi studia la vita sulla Terra.

Ai più grandi tra i nostri lettori segnaliamo questa pagina con 5 “errori” a cui spesso si crede a proposito di evoluzione, come quello di cui abbiamo parlato poco sopra a proposito della nostra “discendenza” dalle scimmie!

Photo credit
tartaruga: Dallas Krentzel / Foter / CC BY
Beagle: Karen E James / Foter / CC BY-NC-SA

Dare i numeri con il cubo di Rubik (II parte)

Guida alla risoluzione del secondo strato

Dopo aver risolto il primo strato del cubo di Rubik nella prima parte, procediamo con il secondo strato.
Ricordiamo che il primo strato è stato completato con il colore BIANCO. Cosa facciamo ora?

1. Per prima cosa giriamo il cubo, in modo che lo strato risolto rimanga sotto: quello ormai è fatto e non ci penseremo più.
2. Ruotiamo lo strato centrale finché il quadretto al centro di ogni faccia non sarà dello stesso colore di quelli della prima fila in basso. Si formeranno delle “piccole T” rovesciate
cubo di Rubik: le piccole T rovesciate
3. Ruotando lo strato superiore, cerchiamo di allungare una di queste piccole T, costruendo una “grande T rovesciata”, come quella nella foto sotto. La nostra è arancione ma può essere di qualunque colore (tranne bianco e giallo, nel nostro caso), basta riuscire a comporla. Quindi, rispondiamo a una domanda: di che colore è il quadretto che si trova subito sopra?

Grande T

a. È giallo?
-> la “T” non si presta a ulteriori mosse. Dobbiamo costruirne un’altra e ricominciare.
- Non si riesce a costruire nessuna grande T che vada bene?
Passiamo comunque al punto b. ed eseguiamo lo schema di mosse illustrato con il cubo così com’è. Poi riproveremo a costruire una grande T con tutte le carte in regola e andremo avanti da qui.

b. È dello stesso colore della piccola T che si trova nella faccia a destra?
-> eseguiremo uno schema di mosse ben precise. Attenzione a non saltarne nessuna e a seguire l’ordine in cui le elenchiamo, altrimenti non funziona!

Ruota in senso orarioRuota lo strato alto
verso sinistra
Ruota verso l'altoRuota la colonna destra
verso l’alto
Ruota in senso antiorarioRuota lo strato alto
verso destra
Ruota verso il bassoRuota la colonna destra
verso il basso
Ruota in senso antiorarioRuota lo strato alto
verso destra
Ruota in senso antiorarioRuota tutta la faccia
in senso antiorario
Ruota in senso orarioRuota lo strato alto
verso sinistra
Ruota in senso orarioRuota tutta la faccia
in senso orario

c. È dello stesso colore della piccola T che si trova nella faccia a sinistra?
-> anche in questo caso seguiremo uno schema di mosse simile a quello sopra, ma non identico. Occhi a non confonderli, ok?

Ruota in senso antiorarioRuota lo strato alto
verso destra
Ruota verso l'altoRuota la colonna sinistra verso l’alto Ruota in senso orarioRuota lo strato alto
verso sinistra
Ruota verso il bassoRuota la colonna sinistra verso il basso
Ruota in senso orarioRuota lo strato alto
verso sinistra
Ruota in senso orarioRuota tutta la faccia
in senso orario
Ruota in senso antiorarioRuota lo strato alto
verso destra
Ruota in senso antiorarioRuota tutta la faccia
in senso antiorario

Ora osserviamo il secondo strato del cubo. Se è completo, siamo già a posto. Se non lo è, ricominciamo dal punto 3, componiamo un’altra “grande T” e seguiamo di nuovo le istruzioni finché lo strato non sarà risolto. Se non viene subito, non vi scoraggiate e ricominciate: funziona, abbiamo provato!
Ecco il risultato:
Il secondo strato del cubo di Rubik
Ce l’avete fatta? Foto, foto! In redazione siamo tutti curiosi di vedere.
Noi torneremo presto con l’ultima parte: la soluzione del (temutissimo) terzo strato!


Photo credit: Daniela Alvisi


In bocca al lupo!

Perché si dice “in bocca al lupo”?

Questa espressione è molto usata quando qualcuno deve affrontare una sfida difficile, per esempio un esame o una gara sportiva.
La maggior parte delle persone pensa che si riferisca a un antico augurio rivolto ai cacciatori. Andare a finire “nella bocca del lupo” voleva dire avvicinarsi molto a lui, avere coraggio e quindi successo.
Pare invece che il detto possa in realtà essere collegato a un’abitudine delle mamme-lupo, che per trasportare i loro cuccioli li prendono delicatamente in bocca. In questo caso, l’augurio di finire nella bocca del lupo avrebbe il significato di trovare il posto più sicuro, quello dove “tutto andrà bene”.
Ora che lo sapete, se qualcuno vi augura “in bocca al lupo” non rispondete con il solito “crepi” (povero lupo!!) ma con “viva il lupo!”.

Lupi mannari e imprinting

I lupi mannari o licantropi sono creature inventate, mostri che secondo la leggenda sarebbero esseri umani condannati, per una maledizione, a diventare lupi feroci nelle notti di luna piena.
I lupi mannari sono protagonisti di molti libri e film horror, e ultimamente sono diventati famosi grazie al personaggio di Jacob nella saga di Twilight.

lupo luna

Questo ci dà anche lo spunto per parlare di un altro argomento, l’imprinting.
Nella storia dei vampiri di Twilight, infatti, si usa questo termine per riferirsi al legame un po’ “magico” che legherà per la vita l’uomo-lupo Jacob a Renesmee, la bambina nata dalla coppia formata da una donna e da un vampiro.
In realtà, l’imprinting non è un “colpo di fulmine” come in questa storia di fantasia, ma è un fenomeno che si verifica in natura quando, nelle primissime fasi di vita di un animale, nel suo cervello si “stampa” per sempre l’immagine del genitore. Questo particolare modo in cui gli animali imparano a riconoscere chi li guiderà e li proteggerà fu studiato da un famoso scienziato che si occupava del comportamento animale, Konrad Lorenz. È famosa una foto in cui si vede Lorenz seguito da una fila di anatroccoli: usciti dall’uovo, i piccoli avevano visto lui come primo essere vivente, e lo avevano identificato come la loro mamma, seguendolo ovunque andasse!

Photo credit: Massimo Valiani / Foter.com / CC BY-NC

L’alfabeto degli animali – L come lupo

Visto che oggi è Lunedì, iniziamo dalla L!

L come… lupo!

Carta di identità del lupo
Il lupo: carta di identità
Nome: Canis lupus
Classificazione: classe mammiferi, ordine Carnivori, famiglia Canidi
Indirizzo: vive in molte zone dell’emisfero settentrionale, dall’Alaska alla Siberia. In Europa è estinto in molti paesi. In Italia attualmente ci sono lupi sugli Appennini, sulle Alpi occidentali e in zone collinari di Lazio e Toscana.
Dimensioni: da adulto un lupo maschio ha le dimensioni di un grosso cane e può pesare dai 30 agli 80 kg (mediamente 30-40 kg).
Comportamento: i lupi vivono in branchi formati da 3-4 fino a 30 animali. I branchi sono guidati da un maschio “capo” e dalla sua compagna, che vengono chiamati coppia Alfa.
Dieta: i lupi cacciano erbivori come i cervi o altri ungulati, ma anche lepri, roditori, uccelli. Se non trovano prede sufficienti nei boschi dove vivono, vanno in cerca carogne o di rifiuti e possono attaccare il bestiame domestico.
Segni particolari: colore bruno, rossiccio, con alcune parti chiare. Vista e udito molto acuti (un lupo sente gli ululati dei compagni anche a 15 km di distanza), ma soprattutto un gran “naso” che gli permette di scovare le sue prede anche da molto lontano.
Curiosità: il lupo è l’antenato di tutti i cani domestici.

 
Uccisioni e bracconaggio

bayerischer-wald-wolves-40d_lForse avrete letto sui giornali o sentito alla tv che in questo periodo molti esemplari di lupo sono stati uccisi in Italia, in particolare in Toscana.
Come mai? Perché gli uomini uccidono i lupi?
In Italia, il lupo è stato perseguitato molto in passato, perché essendo un predatore mangia gli animali che gli è più comodo cacciare, anche quelli domestici come le pecore o le capre, facendo incursioni negli allevamenti. Circa 40 anni fa, la popolazione dei lupi nel nostro paese era arrivata sull’orlo dell’estinzione: ne erano rimasti proprio pochi, un centinaio appena.
Ecco che allora il lupo diventò una specie “simbolo”, un animale da salvare e la situazione iniziò a migliorare grazie a programmi di studio e di protezione.
Oggi uccidere i lupi è vietato, la specie è protetta. Ma continua a esistere il bracconaggio, cioè l’uccisione illegale.

Avete domande sul lupo? Volete inviarci disegni o storie sul lupo? Scriveteci a info@chescienza.com!


Photo credit:
Primo piano By Warsocket (Own work) [CC-BY-SA-3.0 or GFDL ], via Wikimedia Commons
Ben Harrington / Foter.com / CC BY-NC-ND


Dare i numeri con il cubo di Rubik (I parte)

Chi ha provato almeno una volta a risolvere il cubo di Rubik può capire perché rientri fra i cosiddetti rompicapo. Si tratta infatti di un gioco che richiede logica e strategia da parte del risolutore, il tutto per raggiungere un obiettivo ben preciso: fare in modo che ogni faccia del cubo mostri un solo colore.

Facile da spiegare, ma un po’ meno da realizzare. Riuscirci facendo mosse a caso è molto difficile, anzi quasi impossibile. Vediamo perché!

Il cubo di Rubik è composto da 27 cubetti, di cui uno “nascosto” (quello che si trova all’interno, al centro del cubo) e gli altri 26 visibili esternamente: 8 angoli , 12 spigoli e 6 centri.

Gli elementi del cubo di Rubik

Di questi 26 elementi, solo 20 sono effettivamente mobili, poiché i 6 centri vengono trasportati insieme ad angoli e spigoli durante le varie rotazioni, e per fortuna! Questi 20 pezzi, infatti, sono sufficienti a mettere in crisi anche le menti più allenate, perché si possono combinare in un numero enorme di modi: oltre 43 miliardi di miliardi!
Fra tutti questi, lo schema giusto è uno solo: quello in cui ogni faccia ha tutti i quadretti dello stesso colore; spuntarla per caso sul cubo, quindi, è un po’ come vincere alla lotteria! Meglio allora “farselo amico”, individuando le sue dinamiche e usando un metodo.

Uno dei più utilizzati è il cosiddetto metodo a strati che, come dice il nome, consiste nel completare il rompicapo uno strato alla volta. Gli strati, come si può vedere dalla fotografia a lato, sono i tre “piani” del cubo.

Gli strati del cubo di Rubik

Volete imparare questo metodo? Per non confonderci troppo le idee, dedicheremo degli articoli a ogni strato. Il primo è proprio questo. Se siete pronti… si comincia!


Primo strato
Per risolvere il primo strato:

  • si sceglie un colore, per esempio il BIANCO
  • si cerca la faccia del cubo che ha il quadretto bianco al centro
  • si risolve quella faccia, in modo che tutti i suoi quadretti mostrino il colore bianco

“Ah, mica facile!”, direte voi; eppure potete riuscirci, e senza impazzire troppo! La prima cosa da fare è muovere i cubetti fino a comporre una croce al centro dello strato, in questo modo:

Primo strato: formare la croce

Infine dovrete sistemare gli elementi mancanti, cioè gli angoli, stando molto attenti a orientare bene i cubetti. Cosa significa? Alla fine, osservando il cubo, tutte le facce devono avere la prima fila di quadretti dello stesso colore. Se questo accade, vuol dire che il primo strato è davvero pronto.

Primo strato completo con i cubetti orientati correttamente
Così VA BENE! Il primo strato è completo e i cubetti sono orientati in modo corretto
       Primo strato completo con i cubetti orientati in modo scorretto
Così NON VA BENE! Il primo strato è completo ma i cubetti sono orientati in modo non corretto

Fatto? Non ci crediamo: mandateci le foto o i video!
Fatelo davvero. Se vorrete, poi, useremo i vostri contributi per un’edizione speciale di CheScienza!

Nel frattempo, continuate a seguirci; torneremo presto per parlare del secondo strato del cubo di Rubik.


Photo credit:
Cubo risolto: Arjan Almekinders / Foter.com / CC BY-NC-ND
Illustrazione e foto successive: Daniela Alvisi


Scienza a merenda: la resistenza di un biscotto (II parte)

Nella prima parte del nostro esperimento abbiamo visto l’importanza di inzuppare i biscotti “nel verso giusto”.
Vi avevamo salutato con un quesito: cosa accadrebbe facendo zuppetta con un frollino senza glutine?

Curiose come non mai, abbiamo provato e la risposta non si è fatta attendere:

Frollino senza glutine

In meno di un minuto, il biscotto si è letteralmente disintegrato sotto i nostri occhi, come si può vedere nelle foto.

Perché?

Il glutine è la “colla” che rende gli impasti a base di farina così elastici e compatti: pane, pizza, torte e… biscotti! Parlando di farina, intendiamo quella tipicamente usata nelle nostre cucine, cioè quella di grano; è nel grano, infatti (ma anche in altri cereali come l’orzo, il farro o la segale) che si trova il complesso di proteine del glutine che, quando la farina viene impastata con l’acqua, forma una specie di “rete filamentosa” rendendo l’impasto elastico e tenendolo insieme. Questa azione prosegue anche nelle fasi di lievitazione e di cottura dei prodotti da forno.
Quando si immerge un comune biscotto in un liquido, quindi, il glutine contribuisce a rallentare il suo “sfaldamento”. Il biscotto senza glutine, invece, non contiene questo “collante” e si sfalda più rapidamente.

Curiosità

In inglese, “colla” si dice glue. Non ti sembra che questa parola assomigli molto a glutine? Infatti è così: derivano entrambe dal latino gluten, che vuol dire proprio colla!

Per saperne di più sul glutine, visita anche questa pagina nella sezione Domande&Risposte!


Photo credit:
Esperimento: Daniela Alvisi
Spiga di grano: W9NED / Foter.com / CC BY-NC-ND


Scienza a merenda: la resistenza di un biscotto (I parte)

Anche oggi vi proponiamo un esperimento, anzi, vogliamo raccontarvene uno che abbiamo fatto noi dopo aver letto i risultati di una ricerca scientifica molto curiosa. Riguardava la tecnica migliore… per far zuppetta con i biscotti!
Qualcuno starà sorridendo: serve davvero una tecnica per compiere un’operazione così semplice?

Beh, nessuno ci vieta di improvvisare, ma le accurate ricerche del fisico Len Fisher, uno stimato ricercatore universitario, dimostrano che una zuppetta eseguita “scientificamente” può aiutarci a gustare più a lungo la merenda.
Già, perché a metterci fretta c’è quell’antipatico spappolamento dei biscotti nella tazza: un effetto inevitabile, ma che si può rallentare. Come?

Siccome non ci abbiamo creduto finché non l’abbiamo visto, prima di rispondere vi illustriamo l’esperimento.

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Abbiamo immerso lo stesso tipo di biscotto in due tazze di tè: uno verticalmente e l’altro orizzontalmente; per mantenere verticale il biscotto nella prima tazza ci siamo aiutate con uno stuzzicadenti, ma senza premere. E poi abbiamo atteso… e atteso.

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Dopo 4 minuti, il biscotto verticale ha iniziato a sfaldarsi, intorbidendo il liquido; quello orizzontale, invece, è rimasto “tutto d’un pezzo”, lasciando il liquido limpido.

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Dopo altri 4 minuti il primo biscotto era visibilmente “a pezzi”; l’altro, invece, si è gonfiato e ammorbidito, ma è rimasto compatto.

A circa un quarto d’ora dall’immersione, anche il secondo biscotto si è “arreso”; del primo non era rimasto che una poltiglia galleggiante.

Il segreto di questa differenza di comportamento sta proprio nella direzione in cui viene immerso il biscotto!
Dopo numerosi esperimenti e osservazioni si è concluso che un biscotto immerso orizzontalmente si inzuppa molto più lentamente rispetto a un biscotto intinto in verticale. Più precisamente, il processo rallenta impiegando un tempo 4 volte maggiore, in accordo con le leggi della diffusione dei liquidi.
Nel primo caso, infatti, il liquido sottostante deve percorrere tutto lo spessore del biscotto prima di impregnarlo completamente; nel secondo caso, invece, il liquido circonda il biscotto e lo bagna da entrambi i lati: da ciascuna delle due parti, quindi, lo spessore da percorrere è solo la metà.

Toglietevi il dubbio anche voi, magari confrontando vari tipi di biscotti: l’esperimento è veramente molto semplice.

E ora, cari lettori, vi lasciamo con una domanda: cosa accadrebbe immergendo nel tè un frollino senza glutine? Provateci, se potete, e inviateci i vostri commenti. Noi, curiose come siamo, abbiamo già fatto qualche prova; ve ne parleremo nella prossima puntata!


Photo credit: Daniela Alvisi


Che cos’è il glutine?

Mattia chiede:

Che cos’è il glutine?


Froggy risponde

In alcuni cereali come il grano (frumento), l’orzo, il farro, la segale, è contenuto un “complesso proteico” che si chiama glutine. Le proteine sono una categoria di sostanze contenute in molti alimenti e sono importantissime per noi e per tutti gli organismi viventi.

Perché allora esistono alimenti senza glutine, come i biscotti che abbiamo usato in questo esperimento?
Perché per alcune persone (come la nostra Spinny, per esempio) le proteine del glutine sono dannose e fanno funzionare in modo non corretto il sistema digerente. Queste persone sono affette da celiachia e per stare bene non devono mangiare gli alimenti che contengono glutine o che possono essere “contaminati”, cioè entrati in contatto con altri alimenti che lo contengono, durante la loro produzione o la lavorazione.
Se vuoi approfondire, puoi trovare altre informazioni su questo sito specializzato:

www.celiachia.it